Era il 20 settembre 1870. Dopo cinque ore di cannoneggiamenti, gli artiglieri del Regno d’Italia riuscirono ad aprire una breccia nelle mura aureliane a pochi metri da Porta Pia permettendo ai bersaglieri di entrare in cittá. Il contingente del corpo pontificio era costituito da circa 15.000 militari di varie nazionalità. Circa 4.000 erano francesi, tra cui la legione di Antibes, forte di 1200 uomini, e circa 1.000 erano tedeschi. Vi erano inoltre 400 volontari pontifici oltre a mercenari zuavi e turchi, tutti al comando del generale tedesco Hermann Kanzler. Rispettando gli ordini del Cardinale Giacomo Antonelli, le truppe si ritirarono entro le mura della cittá ed opposero una resistenza simbolica. Il desiderio di porre Roma a capitale del nuovo regno d‘Italia era già stata esplicitata da Cavour nel suo discorso al parlamento italiano nel 1860. Poco dopo Cavour in parlamento affermò che riteneva «necessaria Roma all‘Italia» e che prima o poi Roma sarebbe stata la capitale ma che per far questo era necessario il consenso della Francia. Sperava che l‘Europa tutta sarebbe stata convinta della necessità della separazione tra potere spirituale e potere temporale e quindi affermò il principio di «libera Chiesa in libero Stato». Ancora oggi, anche se tenuto un po’ in sordina, l’episodio di Porta Pia fa parte della epopea dei Bersaglieri, dell’Esercito Italiano e della Repubblica. Fu veramente gesto eroico? La definizione cavouriana oggi scontata fu veramente disinteressata? Se avessero vinto le truppe pontificie respingendo le truppe italiane fino ad una piccola enclave dentro i confini del castello del Valentino, cosa avrebbe scritto la storia? Non mi aspetto S.S. il Papa alla testa di una rivolta anti-italiana né un Cardinal Ruini che brucia cassonetti dell’immondizia a Piazza Navona, ma il giorno che un’autoritá carismatica vaticana riuscisse a conquistare la simpatia di Hollywood e quella di una grande lobby interessata a destabilizzare l’Europa, vedremo i Papa-boys incendiare negozi e linciare passanti per le strade di Roma? Scriveremo e grideremo per le strade “fuori le truppe d’occupazione da Roma”? La storia è difficile da interpretare. Ció che ieri e altrove era un atto eroico, è, qui ed oggi, simbolo di barbarie e viceversa. Ad aggiungere difficoltá a difficoltá è la parzialitá della cronaca raccontata dai media. In occidente si parla di massacro cinese nei confronti del popolo tibetano. Le immagini della TV cinese ci mostrano “black blocks” e monaci dare l’assalto a negozi, bruciare moschee e dare la caccia all’uomo per le vie di Lhasa con tanto di linciaggio in diretta. Da qualche intervista avventurosa si fa strada l’ipotesi che le proteste, estesesi a macchia d’olio nel giro di poche ore, sfuggono ormai al controllo carismatico del Dalai Lama e che si stiano cristallizzando gruppi radicali scontenti della politica accomodante e “morbida” del governo tibetano in esilio a Dahrmsala. È uno schema giá visto in Palestina. L’aver immobilizzato e rifiutato per anni accordi con il gruppo di Fatah anche quando questi mostrava intenzioni di avvicinamento con lo Stato Israeliano, ha spinto masse di giovani impazienti nelle braccia delle piú radicali Hammas e Hizbollah. In questi contesti di confusione, divisioni e radicalizzazioni, è facile per i maestri della provocazione e dell’inganno muovere gli eventi verso mete sconosciute agli stessi partecipanti della rivolta. Alla fine saranno i vincitori a scrivere la storia. Cosí, a secondo dei casi, i rivoltosi saranno eroi o terroristi e la truppa sará una truppa di liberatori o di oppressori. Quindi è difficile dare giudizi a caldo su avvenimenti lontani e di cui ci pervengono immagini contraddittorie. E’ documentata la massiccia presenza militare cinese, ma mancano le immagini dei “massacri” che pure era stato possibile documentare a Tienammen, nel cuore dell’impero. Si accusa il Dalai Lama di essere l’ideatore dietro le quinte della sommossa, ma le dichiarazioni di almeno alcuni dei dimostranti, lasciano pensare a giovani nazionalisti radicali scontenti delle posizioni attendiste dello stesso. La logica del chi ha sparato il primo colpo, non è una logica appagante. Rovistare nel passato per scoprire se il Tibet è da sempre stato autonomo o provincia cinese è altrettanto fuorviante. Anche in occidente, l’atteggiamento verso il Tibet è spesso cambiato a secondo le convenienze.
Cosí la CIA aiutó il Dalai Lama a lasciare Lhasa nel 1959 e continuó a addestrare guerriglieri tibetani fino agli inizi degli anni settanta, quando Nixon decise una politica di riavvicinamento alla Cina. Secondo il New York Times del 2 ottobre 1998, il governo tibetano in esilio ammise di aver ricevuto dalla CIA 1,7 milioni di dollari l’anno per tutti gli anni sessanta, soldi spesi per l’addestramento di truppe di guerriglieri da impiegare in operazioni anti-cinesi. Ora che gli Stati Uniti hanno tolto la Cina dalla loro lista dei paesi canaglia grazie alle abbondanti iniezioni di capitali cinesi nelle piú grosse banche americane allo sbando dopo la crisi dei crediti sub-prime, la situazione in Tibet si fa piú confusa. Qualcuno vuole mettere in difficoltá la Cina alla vigilia dei giochi olimpici? Qualcuno vuole ricordare all’amministrazione americana i rapporti finanziari con i partner storici? In visita al Dalai Lama nella sua residenza in esilio a Dharamsala, nel nord dell‘India, Nancy Pelosi ha lanciato un appello per un‘inchiesta internazionale sulle cause delle violenze in Tibet, represse nel sangue dalle forze di sicurezza cinesi. „Siamo qui con voi per affrontare questa sfida“, ha continuato Pelosi. „In questa sfida“, ha sottolineato, „siamo con voi“. Migliaia e migliaia di tibetani, assiepati fin dal mattino per accoglierla in un‘atmosfera trionfale, hanno risposto alle sue parole con salve fragorose di applausi. „Se coloro che in tutto il mondo amano la libertá non dichiareranno la loro opposizione all‘oppressione cinese in Tibet, avremo perduto ogni autorità morale per poter parlare a favore dei diritti dell‘uomo, dovunque nel mondo“, ha ripetuto l‘ospite americana, la cui delegazione comprendeva altri nove colleghi parlamentari. „Forse e‘ il nostro karma, forse e‘ il nostro destino essere qui con voi in un momento del genere“, ha concluso Pelosi, suscitando un‘altra salva di applausi. „Quando ritorneremo a casa, porteremo il messaggio di quanto abbiamo visto, e cercheremo di raccogliere la sfida alla nostra coscienza che il Tibet ci pone“. Un atto di propaganda in vista delle imminenti elezioni? La Cina è riuscita tenacemente a tenere fuori dei suoi confini il carrozzone della finanza internazionale che divora tutto ció che incontra sul suo cammino come un vorace sciame di cavallette. È questo il suo peccato che la vede da anni al centro di ogni critica del main-stream? Prima l’aviaria, poi l’ambiente, poi i diritti civili e ora il Tibet. „Si habbi nelle cose a vedere il fine e non il mezzo„, scriveva il Machiavelli. Perché non ci siano dubbi, non sto scrivendo l’Apologia della Cina, paese dove sono ancora grossi i problemi dei diritti umani e della libertá individuale, sto semplicemente sollevando il dubbio che questi moti indipendentisti siano del tutto spontanei e non piuttosto manipolati dai poteri forti fuori dai confini cinesi e tibetani. Se cosí fosse, la tragedia sarebbe ancora piú grande, poiché starebbe a significare che, ancora una volta, si da‘ un’arma nelle mani degli schiavi e i servi della gleba perché si rompano le teste fra loro nelle strade al fine di fornire moneta di scambio a trattative che avvengono in comode stan
ze di velluti rossi e scrivanie di legni pregiati fra “gentiluomini” ai quali sono servite bevande esotiche da cortigiane raffinatissime.
La tragedia continua.