Un assurdo diventato politicamente corretto.
Da: Il Derviscio
Come previsto dal Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (T.U. delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), e dal relativo regolamento di attuazione (Decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n.394), allo straniero comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato sono riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dal diritto internazionale generale.
Inoltre, il cittadino extracomunitario che soggiorni in territorio italiano e sia titolare della carta di soggiorno o di un permesso di soggiorno rilasciato per motivi di lavoro subordinato, di lavoro autonomo e familiari gode dei diritti civili che la legge riconosce al cittadino italiano senza che vi sia necessità di verificare l’esistenza della condizione di reciprocità. Né esistono, allo stato, accordi bilaterali che prevedano, per lo straniero, condizioni meno favorevoli di quelle previste dalle norme interne.
Chiaro?
Quello della reciprocitá è stato fino a ieri un cavallo di battaglia di Borghezio e della sua specie politica. E fin qui…
Ora l’onda è trasbordata e nel dibattito “dacci oggi il nostro argomento anti-islamico quotidiano” è diventato tema anche dei seri critici dell’Islam per dire che, grazie al fatto che viviamo in democrazia, siamo disposti a chiudere un occhio e vi lasciamo costruire le moschee, peró …
Ecco, proviamo a costruire una storia attorno a questo peró.
Dunque …
Abdullah, manovale pakistano, Ahmed, fruttivendolo turco, Mustafa, operaio egiziano, tutti e tre regolarmente immigrati, tutti e tre regolarmente umiliati dal rito annuale del rinnovo del visto dopo attese anche di dodici ore allo sportello dell’ufficio unico, dopo mesi di incertezza nell’attesa dello stesso, sottoposti al dileggio e al dispetto sul posto di lavoro, guardati con diffidenza dai vicini, sfruttati da proprietari di appartamenti affittati a prezzi criminali, rinchiusi in casa la sera con la famiglia per non apparire invadenti e per paura delle aggressioni di gorilla senza cervello in libertá o dall’arbitrio di ronde supermotivate, decidono di incontrarsi il venerdí per la preghiera comunitaria.
Nel giro di pochi mesi il cerchio si allarga e, con una ventina di bosniaci, malesi, senegalesi e di due italiani convertiti, la preghiera si sposta nel magazzino della frutta di Ahmed che ogni venerdí viene sgombrato per l’occasione.
Fin dal primo giorno, come vuole la tradizione, viene organizzata una cassa per i bisognosi (Bait ul-mal) e per le opere di Dio.
Nel giro di qualche anno nel magazzino di Ahmed vengono a pregare musulmani di tutto il quartiere. Lo spazio non basta piú e la cassa è piena.
All’angolo della via c’è un’officina dismessa e cosí Abdullah, Ahmed e Mustafa si mettono alla ricerca del proprietario e prendono i primi contatti con gli organismi di quartiere. Si fa un’assemblea nella palestra della scuola alla quale interviene la cittadinanza. Fortunatamente non c’è la Lega, ma un amministratore comunale pone la questione della reciprocitá. Perché se nei “loro” paesi è vietato costruire chiese, noi dovremmo permettere loro di costruire moschee?
STOP!
1) Nella maggior parte dei casi questa affermazione è falsa. Non so se esistono chiese in Pakistan, ma ce ne sono ad Istanbul, al Cairo, a Damasco. Bagdad, e perfino (udite udite) in Iran, con tanto di campanili e campane. Non ci sono chiese alla Mecca dove, peraltro, non esiste una comunità cristiana. Per i numerosi lavoratori filippini in Arabia Saudita sono stati trovati accordi per la celebrazione della messa.
2) Chi dovrebbe garantire la reciprocitá con gli Stati Islamici? Abdullah? Ahmed? Mustafa? Turchia e Egitto non sono Stati Islamici, e Abdullah è una persona fisica senza nessuna veste politica o diplomatica.
3) Cosa dovrebbero fare Abdullah, Ahmed e Mustafa per garantire la reciprocitá coi loro paesi d’origine? Tornare a casa e costruire una chiesa? Per chi?
4) Se la moschea in Italia nasce grazie ad una colletta privata di cittadini musulmani, chi pagherà la chiesa “reciproca” a Kuala Lumpur o Sanaa? Abdullah? Ahmed? Mustafa? Borghezio, Daniela Santanché? Allam Cristiano Magdi?
5) Da quando Erdogan regge la Turchia, la pena di morte é stata abolita, la libertá di espressione allargata, la lotta contro le torture incentivata. Otto miliardi di Euro sono stati stanziati per sviluppare l’agricoltura nelle regioni abitate dai curdi. Erdogan ha permesso canali televisivi multilingue spezzando cosí il tabú della “turchicitá” sancito dall’art. 301 della Costituzione, ha riformato la legge sulle fondazioni che permetterá alle Chiese Cattolica e Ortodossa di usufruire di privilegi aboliti dallo “Stato laico”. Erdogan cerca un avvicinamento all’Armenia e ha invitato il governo Armeno alla fondazione di una Commissione comune di studiosi e storici che elaborino una ricerca scientifica su quello che viene chiamato “il genocidio armeno”. Allora permetteremo “reciprocamente” ad Ahmed di aprire la sua moschea? E Abdullah potrá pregare nella moschea di Ahmed? Se no, dovremo fare dei controlli all’ingresso? Turchi sí, pakistani no, egiziani cosí cosí? E chi fará i controlli? I militari di La Russa? Le ronde di Maroni? O mandiamo direttamente Borghezio la Santanché e Allam Magdi Cristiano?
6) Con chi dovranno “reciprocare” i musulmani italiani, nati da genitori italiani e con progenitori italiani fino a Muzio Scevola che vogliono aprire una moschea? In una moschea italiana quindi, potranno pregare immigrati provenienti da paesi “non reciproci”?
Facciamo qualche passo avanti.
Se la reciprocitá significa, tu puoi fare qui quello che io posso fare a casa tua, cosa faremo di Zhara?
Zhara è cittadina saudita trasferita in Italia dopo aver sposato un ingegnere italiano. Ora Zhara vuole fare la patente di guida. Le diremo che non la puó fare perché le donne, anche italiane, non possono fare altrettanto in Arabia Saudita? È logico?
Amina, una ragazza di origine afgana, ha chiesto di iscriversi all’universitá di Perugia. La metteremo alla porta perché i talebani che ancora amministrano il suo villaggio vietano alle donne, anche italiane se mai ce ne fossero, di andare a scuola? È questa la logica della reciprocitá? O non siamo piuttosto di fronte alla logica di chi si arrampica sugli specchi nel tentativo di dire correttamente NO agli immigrati, NO alla cultura diversa, NO a tutto ció che non conosco, NO all’Islam senza doversi sporcare le mani con la parola “fobia” o, peggio, “razzismo”?
Mano sul cuore. Reciprocitá, in questo contesto, è una stupidaggine grande come una casa e non è un caso che a chiederla non siano autorevoli rappresentanti della Chiesa, ma i soliti pinocchietti spaventati da Mangiafuoco e, ultimamente, firme autorevoli del giornalismo italiano. E “reciprocitá” fa parte di quella strategia che vuole reiteratamente presentare l’Islam come un problema.
Allam Cristiano Magdi si converte al cattolicesimo? Daniela Santanché da i numeri davanti alla moschea? Il 19% degli svizzeri votano contro la costruzione di minareti che nessuno voleva costruire? Il problema è l’Islam! È logico? Nessuno sente la nota stonata in tutto questo?
Questo paradigma altro non è che una Matrix costruita artificialmente dentro la quale sono ormai prigionieri milioni che si sono bevuti il cervello davanti al lato B dell’ultima ballerina brasiliana. Ecco il succo del problema.
Reciprocamente parlando.